Intervista a Rossella Bentini

Scritto il 01/02/2025
da Redazione ON

Rossella Bentini, attraverso la tua pagina “Una milanese chic” hai costruito una dimora accogliente che consente ai tuoi followers di trovare un posto nel quale abitare. Le vie e le piazze della tua città si uniscono ad un mondo emotivo ed espressivo, attraverso il quale racconti te stessa entrando così in empatia coi lettori. Ritieni sia questo l’elemento che ha caratterizzato il successo della tua pagina? Hai altri aspetti che vorresti raccontarci?

R. Successo o non successo della pagina, quello che credo è che abbia un potere benefico su molte persone, soprattutto donne, che leggono quello che racconto di me, delle mie esperienze e soprattutto della mia vita e ritrovano molto di loro stesse, scoprendo che in realtà è successo qualcosa di molto simile anche a loro e si sorprendono che qualcuno parli delle stesse emozioni che provano. É così che si entra in empatia e si crea quel fil rouge che unisce persone che non si conoscono. Questa pagina ha dato vita ad un salotto virtuale dove garbo, educazione e cortesia sono la regola, le chiassate e le infinite polemiche dei social non ne fanno parte, tutti commentano, ognuno con idee ed esperienze diverse, le opinioni possono divergere, ma  non si scade mai nella volgarità che spesso è presente sui social. In molti mi hanno detto di avere trovato la valorizzazione delle tradizioni che come altri valori, ai quali io invece tengo molto, ai più  ormai non interessano. A fare da cornice è Milano, città dove sono ambientati i miei romanzi e i miei racconti e che io amo per motivi famigliari e lavorativi.

Attraverso internet la tecnologia ci ha consentito di trasmettere informazioni a tutto il mondo, costruendo legami virtuali e condividendo esperienze con persone lontane. Per contro, la tecnologia ci allontana spesso dal vissuto, non riusciamo a vivere il momento in assenza della condivisione. Quali aspetti, a tuo avviso, occorrono per veicolare i social media al benessere personale? Hai consigli, riflessioni da trasmettere alle generazioni “native digitali”?

R. Sono poco “tecnologica”, sebbene ormai mi ritrovi a fare costante uso di strumenti appositamente creati dalla tecnologia. Sono tendenzialmente sfavorevole a ciò che toglie valore al vissuto reale per darne al virtuale. Non tutto quello che facciamo, quello che mangiamo o i luoghi che frequentiamo devono essere condivisi con una foto, una localizzazione o un post, dovrebbe valere per me e per gli altri quel diritto alla riservatezza che nella nostra società è così poco tutelato.  Appartengo ad un’epoca dove le condoglianze si facevano con un biglietto o una visita a casa, le dichiarazioni d’amore guardandosi negli occhi e gli amici si trovavano al solito posto per decidere dove andare. Le emozioni non si trasferivano attraverso le emoticon, ma con le parole e la gente si parlava molto, magari anche al telefono e non come ora tramite la messaggistica di Whatsapp. Questo nuovo modo di interagire è sicuramente molto veloce, ma il dinamismo che lo contraddistingue le ha tolto fascino e cuore. Non so bene come gli altri vivano la loro esperienza nei social, io per il mio benessere e per viverla serenamente l’ho trasformata in una prova sentimentale, un esercizio quotidiano dove mi interfaccio con le persone che mi seguono come se fossero amici di sempre. Consiglio ai giovani di fare un passo indietro e di provare a non dare tanta importanza a ciò che è virtuale o almeno di curare con maggiore profondità quello che è legato alla realtà.

Il tuo ultimo romanzo “Loro vengono al mattino” racconta una storia avvincente nel quale il presente si intreccia col passato. Mi piacerebbe presentassi tu stessa il libro: chi sono “loro”?   Più in generale cosa ci puoi raccontare del tuo ultimo lavoro?

R. Non esiste presente senza passato e nessun attimo che viviamo sarebbe lo stesso se non ci fosse stato ciò che ieri è accaduto a condizionarlo. Oggi siamo il frutto del nostro vissuto e le persone importanti della nostra vita non se ne sono andate per sempre, ogni tanto tornano a sfiorarci. Sentirne la presenza dipende da noi, dalla capacità che abbiamo di coglierne segnali e parole. É un romanzo dove attraverso i  personaggi esploro l’animo femminile e dove le vicende delle protagoniste si intrecciano creandone la trama, in una Milano di un’Italia che non esiste più.  “Loro” sono i nostri cari, i nostri amati che appartengono ormai ad un universo lontano e  parallelo. Noi  non possiamo raggiungerli, ma io credo che loro possano venire dove siamo  noi.

Milano si caratterizza, attraverso la propria dinamicità, nell’essere la città italiana più “europea”. Grandi cambiamenti architettonici, sociali ed economici hanno attraversato il capoluogo meneghino. Quali aspetti a tuo avviso qualificano Milano e quali di questi ami in particolare?

R. Solitamente dico che Roma è la città più bella del mondo, ma Milano, metropoli affascinante e motore trainante dell’economia italiana, ormai è inarrestabile. Ai grandi cambiamenti architettonici si affiancano i palazzi neoclassici o quelli dei primi del novecento con i loro ingressi e atri  di grande fascino ed eleganza, nessuna città ha tanti androni e cortili interni belli come li ha Milano. Si è globalizzata come purtroppo tutto il mondo, ma dentro alla grande metropoli c’è ancora qualcosa della vecchia Milano, quella della mia infanzia. Non è la città ad essere cambiata, il cambiamento l’hanno fatto il mondo e la società, il capoluogo meneghino l’ha cavalcato, ne ha pagato il prezzo, però ha saputo trarne anche i grandi vantaggi, ed è già tanto che qualcosa della sua identità sia rimasto a conservarne la “milanesità”

Secondo recenti studi nell’ambito della fisica, il tempo, in sé, non esiste. A determinare il tempo è il nostro modo di avvertirlo, la carica emotiva che percepiamo attraverso le perdite e le conquiste che la vita ci offre. Mi piacerebbe, anche attraverso aneddoti personali, capire il tuo rapporto personale col tempo.

R. Combatto una perenne lotta personale con la nostalgia. Sebbene viva un presente ricco e appagante, il passato è quotidianamente presente nella mia vita, entrambi hanno la capacità di mescolare le carte e di creare in me una serie di pensieri ed emozioni dove uno non è staccato dall’altro. Si sono sbiaditi i contorni di tante cose, il tempo è potente e ci dona la possibilità di addolcire gli avvenimenti, edulcorare la verità che ci ha fatto male, le assenze importanti si trasformano in presenze. Non pensiamo a nessuno con lo stesso amore con il quale pensiamo invece a chi è stato importante e oggi non c’è più, la mia famiglia di origine è quotidianamente presente nella mia vita. L’altro giorno ho trovato una agendina con rubrica in pregiata pelle bordeaux, con carta filigranata, uno di quegli oggetti fini che oggi trovi solo in  negozi specializzati. Era di mio padre, datata 1967, dentro annotati nella sua meravigliosa, gliel’ho sempre invidiata, calligrafia impegni e numeri di telefono. Un ritrovamento strano, emozionante, al quale è seguita una telefonata che mi ha resa felice e che se non avessi aperto quella rubrichetta non avrei mai fatto. Oggi che ho 65 anni ho capito quanto il tempo possa togliere e dare, perciò lo ritengo un bene prezioso di cui banalmente dico, non si deva sprecare un solo secondo.

Concludiamo la nostra intervista con la domanda che caratterizza la nostra rubrica:  quale contributo vorresti trasmettere alle generazioni che avranno il compito di costruire il mondo di domani

R. Tutte le generazioni, compresa la mia, volevano un mondo nuovo e non sono riuscite a cambiarlo, perché il mondo purtroppo si è cambiato da solo. Quello di oggi è nuovo, diverso, sconosciuto, peggiore e non sento di appartenergli. Tuttavia i giovani hanno questo e in questo hanno il gravoso compito di scegliere se conformarsi e omologarsi o frenare cercando di tenere in vita valori e tradizioni. Credo saranno pochi a farlo. Ora dirò qualcosa di impopolare, ma è il mio pensiero : ho poca stima della gioventù di oggi. Sono tristi, senza fantasia e con pochi sogni. Lo dico sorridendo, ma se avessero ballato più “lenti” come noi, qualche emozione reale li avrebbe staccati da quelle virtuali e forse non avrebbero sentito la necessità di “sballare”. La terapia è semplice: ci vuole più cuore.

Alessandro Trabucco